lunedì 30 gennaio 2006

Creep

Quando ti guardo, quando ammiro i tuoi gesti plastici e perfetti, una dolorosa consapevolezza della mia natura imperfetta mi attanaglia, impedendomi di vivere. I tuoi eleganti vestiti non sono mai stropicciati, macchiati o scuciti, i tuoi lunghi capelli biondi, oh, sì, così biondi, così setosi, ricadono sulle tue spalle come una cascata d'oro. Quando cammini, il mondo si inchina intorno a te, mentre io inciampo continuamente sui miei passi. Io balbetto frasi sconnesse mentre tu ti fregi con dotte citazioni e tutto sembra essere creato per continuare a farti brillare come un'astro nelle notti più buie. Ma la mia vendetta è in agguato: tanta perfezione non può essere a lungo tollerata. Con le forbici amputo i tuoi capelli, certa che non ricresceranno mai più, e macchio i tuoi vestiti con un pennarello indelebile, e spinta da un insanabile odio, disegno un paio di baffi neri sul tuo viso angelico e privo di rughe. Ti detesto, Barbie.

sabato 28 gennaio 2006

Lime

Il barman spruzza uno schizzo di limetta, oh, limetta, che nome buffo gli italiani hanno affibbiato a quel piccolo limone dei caraibi, insomma, spruzza uno schizzo di limetta nel mio margarita e io gli sorrido grato, e vedo che è un bravo barman, di quelli di un tempo, disposto ad ascoltare, ed allora incomincio a raccontargli di quando ti vidi la prima volta, lungo la calle del desengaño, appoggiata alla soglia, mentre chiacchieravi con una tua amica, i lunghi capelli neri ti ricadevano lucidi sulle spalle e la tua pelle aveva il colore dell’ambra. Gli racconto di quando mi avvicinai la prima volta a te, il tuo sorriso sincero che illuminava il giorno, ed il tuo sguardo attento, e gli racconto della prima volta che ti baciai, e la tua bocca aveva il sapore del sale, della tequila e del lime.

Una storia vera

Uno di quei villaggi da vacanza tutto compreso, lui aveva ottant’anni ed una vita di lavoro duro sulle spalle e la voglia di raccontarla, così affacciati sull’ultimo tramonto ci fermammo ad ascoltarlo. Ci parlò dei suoi anni da emigrante, delle notti passate nel freddo del Canada, mentre una moglie paziente accudiva i suoi sogni ed i suoi figli. Ci parlò di come, ad un certo punto, le cose avessero incominciato a girare bene, una bella casa, i figli sistemati, il futuro a lungo anelato che diventava presente. Ci raccontò di quando arrivò lì, la prima volta, con la moglie, vent’anni prima, la loro prima vera vacanza. Ci raccontò di quando la moglie morì, lasciandolo solo, e le parole gli si spensero nel rimpianto.

Ananke

Immaginavo le stanze fresche, con la luce che filtrava appena dalle persiane in un’assolata mattina di fine luglio. Tu poltrivi tra le candide lenzuola di lino, il forte aroma del caffè ti avvisava che era ora di alzarsi, ma tu, pigro e svogliato, continuavi a fissare le macchie di luce sul soffitto nella vana speranza di riaddormentarti, per ricongiungerti ai sogni interrotti da un inaspettato senso di urgenza che ti aveva colto nel sonno e che non riuscivi bene a cosa attribuire. Con un inaspettato guizzo di energia ti eri alzato, quasi repentino, ed il contatto fra i tuoi piedi ed il freddo pavimento ti aveva provocato un piacevole brivido, poi avevi lasciato vagare lo sguardo in cerca di un particolare che ti suggerisse quale fosse il motivo di questa nuova e strana ansia, ma avevi desistito in fretta, lasciando che il corpo seguisse i tuoi passi che lentamente abbandonavano la camera per trascinarti nel corridoio oscuro che sempre temevi. Nessuno spettro si rivelò, essendo passata da tempo l’ora più buia dei fantasmi, e tu solo, spirito di carne e pelle e ossa e pensieri, proiettasti la tua ombra tremula sulle pareti spoglie fin lì, fino alla porta del bagno. Entrasti cauto mentre la verità si rivelava luminosa a te. E mentre pisciavi, sorridevi ebete al nuovo giorno.

Carbone

Quando gli ultimi sacchi furono caricati, in uno sbuffo di fumo nero di gasolio partimmo verso ovest, in cerca di un’ultima frontiera da invadere, e non ci importava che quello che avremmo trovato avrebbe potuto ucciderci, no, davvero non importava. Il vecchio motore ansimava sulla strada dissestata dalla natura ingiuriosa, ed ancora nessun villaggio si intravedeva all’orizzonte, mentre la polvere turbinava nella stanca luce del tramonto.
E poi fu notte, ed i fari illuminavano a stento la pista intrapresa, e “sei sicuro che sia quella giusta”, ed un impercettibile segno del capo lasciava intuire che sì, era quella giusta, od almeno così ci parve, od almeno così speravamo. Lentamente i nostri sensi si assopirono, cullati da secoli di fatica, e quasi non ci accorgemmo di essere giunti alle porte del villaggio, ed in un attimo il carbone fu scaricato, e la notte non avrebbe mai potuto essere più nera.

Alberi


Un lieve fruscio, la luce che stenta a perforare la spessa coltre di fronde, ed il profumo fresco di aria mischiato a quello della terra, tutto ciò riempie il mio cuore di pace mentre lenta mi aggiro lungo un sentiero tracciato a malapena. Nonostante la mia solitudine sono conscia del brulicare della vita intorno a me, in me. Insetti pigri svolazzano sui miei passi, e lontano scorgo la sagoma di una bufala grigia. Polvere si insinua fra le dita dei miei piedi, e scrollo via una foglia secca che si è insinuata nei miei capelli. Una piccola radura accoglie il mio riposo. Mi soffermo ad osservare sprazzi di luce fare capolino tra i rami ed ecco, esprimo un desiderio. Vorrei essere un albero altissimo, rami tesi verso il cielo e piedi ben piantati a terra, nido per animaletti e frutti per gli uomini. E quando morirò, che il mio legno diventi un tavolo per una famiglia felice, di quelle che non esistono più, o carta, carta per un bel libro, di quelli pieni di sogni e avventure e amore. Bah, finirò carta igienica, come sempre.

domenica 22 gennaio 2006

La poverina aveva una narice occlusa fin dalla nascita

Respirava a stento, emettendo un curioso sibilo serpentino, e spesso il fischio aumentava di potenza nei momenti meno opportuni, credo fosse una questione nervosa. Questo inconveniente aveva condizionato in modo sensibile la sua personalità, rendendola schiva ed insicura, quasi alla ricerca di una trasparenza, di un non-essere che la celasse agli occhi dagli altri. Eppure la sua non era, non avrebbe mai potuto essere una presenza silenziosa. Buffo, che quel nasino pressocché perfetto potesse emettere un tale rumore. Era solita frequentare luoghi molto rumorosi, discoteche, birrerie chiassose, in modo da non rivelare subito la sua peculiarità, e forse si era arresa troppo presto. A poco a poco si era intristita ed aveva incominciato ad allontanarsi da tutti, ed il suo sibilo si era trasformato in un rantolo di solitudine. Ed aveva incominciato ad odiarlo, quel sibilo, e quindi ad odiare se stessa. Che sciocca! Se soltanto avesse notato i languidi sguardi dell'uomo sordo che vendeva la frutta all'angolo della via...

venerdì 20 gennaio 2006

Sud

Partimmo una mattina di metà luglio, diretti a sud. Il grano era già stato mietuto, e colline di stoppie arse dal sole, ulivi e cipressi ed uno strano profumo di erbe sconosciute. All’ombra di una chiesa abbandonata ci fermammo ad ammirare colline e mare, e la luce ci riempiva gli occhi e l’anima. Cicale frinivano. Indolenti, accaldati, cominciammo a schernirci sulla necessità dell’anima di andare a Sud, dove tutto sembra permesso ed il calore del sole ci ricorda che siamo uomini di corpo e calore e voglia di granita di limoni.
Tu avvertivi ineluttabilmente che non saresti più stato capace di tornare indietro, sapevi che il Sud aveva ormai rapito la tua anima e quella era la tua casa, il tuo inizio e la tua fine, e nel sole del meriggio ti avvinghiasti alla terra e io depredai un albero di fichi, oh, delizioso miele dei fioroni, e poi non so come, giungemmo a destinazione, la piazza, il caffè, le stanze chiuse dall’anno prima, un idioma lontano, e la vita non avrebbe potuto essere più meravigliosa.

Domenica

Sedeva all’aperto al tavolino di un caffè sorseggiando distratto un bicchiere di che? vino bianco, certo, ma quale? si domandava percependo un vago ricordo di zagara, e sbirciava le ragazze vestite a festa che si recavano in chiesa alla funzione del mattino e solleticava la propria curiosità fantasticando sul momento in cui si sarebbero inginocchiate al confessionale per svelare i loro segreti più impuri, e li immaginava ovviamente arditi ed eccitanti, e avrebbe voluto farne parte, ma forse era meglio solo sognare, senza rischiare che una! una sola tra tante potesse rubargli ancora una volta il cuore ed il portafogli come una domenica oziosa di tanti anni prima, ed assaporò ancora un sorso di vino in quella mattina assolata di sogni e di rimpianti.

Corinne

Ti sei ritratto un attimo prima che la macchina potesse inquadrarti, così di te mi resta un lembo della tua coperta, la tua mano di bracciali ed il tuo bastone e davvero non ricordo più il tuo volto, ma il cielo, quello sì che lo ricordo bene, con le nuvole sospese ad un passo da noi, che pareva che se soltanto avessimo allungato la mano verso l’alto, tirandoci sulle punte dei piedi, avremmo potuto non solo toccarle, ma afferrarle ed issarci sopra.
Passavo il tempo ad indicartele, bambina golosa di panna montata, e la tua ruvida consapevolezza della realtà urtava i miei sogni, quasi tu non fossi mai stato capace di ridere, ma forse era proprio così, forse i sogni potevo solo averli io, con una strada ancora nuova da esplorare, mentre la tua era già segnata dai passi della tua gente. Le tue radici ti impedivano di volare, mentre io, che radici mai ebbi, fluttuavo aquilone in balia di ogni brezza.
Quale fu la giusta via, nessuno lo seppe mai. Ora intesso novelle dove tu sconfiggi ancora l’ennesimo leone stanco, ed ammalio con parole che mai le tue labbra proferirono.
Ciò che rimpiango è di non ricordare il tuo volto, anche se chiudo gli occhi e lo richiamo alla mente, mi restano solo frammenti di te. La tua bocca in una smorfia quando inciampai in un termitaio, le tue mani che mi trascinavano a vedere la danza di un serpente, i tuoi occhi quando ti dissi che me ne andavo.

Freddo


Lui vorrebbe poter fingere un coraggio che non gli appartiene, mentre lei lo sorregge verso casa e vorrebbe voltarsi verso di lei, verso la sua pelle morbida e profumata e sussurrarle le parole proibite, e sente il tremito di lei crescere spasmodico mentre lentamente si avvicinano al destino, ma già si vede schiavizzato dall’amore di lei, oh, sì, già l’immagina insinuarsi nella sua vita e trasformarla in un incubo che non può sostenere, baci e pretese, lei mescola i loro oggetti e i loro corpi, mescola i loro pensieri ed i loro piaceri, una sottile nausea lo assale e deve ancora una volta fermarsi e poi, non si sa come, sono sulla soglia di casa.

Lui la guarda. Lei sa. Ha fiutato la paura. Ha fiutato il freddo. Il suo volto rivela una dolce tristezza, mentre lo sfiora un istante con la mano. E lui incomincia a vomitare.

Il nemico

Bisognava seguire la strada che costeggiava la collina e poi svoltava verso i campi, e avrebbe dovuto essere difficile perdersi ed invece accadde, e davvero non avremmo mai saputo dove passare la notte, se non avessimo incontrato quel pastore di venti capre.

La casa era di argilla cruda, adagiata lungo un canale, fuori poveri panni stesi ad asciugare, ed il profumo del montone stufato e okra e dolci di miele e mandorle. Il the dolce di menta e zucchero lavò in un solo istante la stanchezza degli ultimi chilometri mentre una mano soave versava per noi acqua in un catino a sciacquare via polvere e vento dai nostri corpi. Sedemmo insieme al desco, e la nostra fame era la loro ed i loro gesti erano i nostri, un solo pensiero verso la notte che scendeva veloce lungo il fiume magico.

Poi ci sdraiammo, solo il gracidare delle rane accarezzava i le nostre menti, mentre tutta l’umanità sembrava confluire in quell’attimo beato, dove l’unione è l’unica verità che freme alla dolce brezza dell’infinito.

Lontano le bombe continuavano a cadere.

Tramonti, c'è ancora chi li fotografa


All’improvviso il cielo si squarcia e mi ritrovo incantata ad osservare nuvole infiammate, cosciente di essere perlomeno un po’ patetica, circondata dall’algida efficienza di un mondo circostante che non mi appartiene e forse ci vorrebbe un sorso di rose e vodka, e continuando a camminare con il naso all’insù, sbatto inevitabilmente contro il mio futuro prossimo “dovresti stare più attenta, guarda dove vai”, neanche lo sapessi.

Ma le nuvole, loro, sanno dove andare?

Gli ultimi raggi di un sole lontano illuminano ancora per un attimo i miei pensieri, poi scende la sera e mi ritrovo come sempre alla ricerca di un senso nel giorno appena passato, e c’è, so che c’è, ma in un certo momento me ne sono scordata, forse mentre con lo sguardo seguivo le nuvole nel cielo.

mercoledì 18 gennaio 2006

Non fu amore


Guardavo
il tuo respiro
muovere lento
il tuo corpo
e pensavo
cazzo.

A zonzo

Un giorno di sole qualunque, di quelli che non riesci a stare in casa e devi! sì, devi violentemente uscire ad annusare l'aria e ti ritrovi a seguire i tuoi piedi, sono loro che conducono il gioco, trascinandoti in mezzo alla folla colorata di mille vite che ti sfiorano e si incrociano, e sarebbe bello potersi lasciare andare, sbirciare come uno spettatore l'immenso teatro della realtà, ma ti attanaglia come sempre il senso di estraneità e la paura che qualcuno, o qualcosa, possa sfiorarti.
Se solo avessi un po' di coraggio!
Potresti fermarti davanti al venditore di spezie e farti raccontare di quella volta in cui fu rapito dal profumo dello zafferano, e perse i sensi per risvegliarsi in un harem di mille splendide fanciulle e datteri dolcissimi; o potresti interrogare il ciabattino che creò le scarpe per un gigante uscito dal centro della terra; e quel mendicante, quello cieco giù all'angolo, ti potrebbe parlare con la voce degli angeli e tu, finalmente, non avresti più paura.
Invece girovaghi, il naso verso le nuvole, e tutto ciò che sai è che il cielo è sempre azzurro. E forse ti basta.

martedì 17 gennaio 2006

Sangue


Non provai nessun dolore: mi soffiai il naso ed il sangue cominciò a colarmi da una narice riempiendo di assurde chiazze rosse il fazzoletto. Corsi in bagno e afferrai un asciugamano bianco e lo guardai fiorire di macchie, boccioli di una bizzarra rosa e sorrisi mentre il sangue mi scorreva in un rivolo accanto alla bocca.

Persa

Mi accorsi sbadatamente di essermi
smarrita in un labirinto di colonne. Sbirciai inquieta oltre il cielo ma nell'aria solo un vago ricordo di dune e oasi lontane ormai. Poi qualcuno mi afferrò la mano ed io ritrovai, oh, improvvisa gioia, la terra perduta, ed assaporai ancora l'acre afrore di una pelle bruciata da sole sabbia sale sudore. Scivolai lenta tra il colonnato, sfiorando il granito con la punta delle dita troppo sensibili, quasi scorticate dal mio continuo raspare in cerca di una via d'uscita e con un fil di voce, gola arsa e prosciugata, sussurrai un inudibile "grazie"; ed ecco che fui di nuovo sola ma non più schiava della solitudine. Ora chiudo gli occhi e sento ancora mani afferrarmi e trascinarmi via da un colonnato di follia.

Un'estate

Passava a prendermi tutte le sere verso le nove. Salivamo in macchina e belle canzoni tristi. Lui si fermava davanti ad un bar, scendeva e comprava due bottiglie di birra. Ripartiva e bevevamo birra e spesso lui fumava erba e aveva uno scatolone nel bagagliaio pieno di bottiglie di birra vuote. Non parlavamo quasi mai, annusavamo l'aria della sera girando lenti per le strade vuote di gente. Fu una bellissima estate.

Attesa

Occhi stanchi, ansia, leggero fremito, mani sudate, poi gelate mentre seduta aspetto che qualcuno venga a prendermi e ricordo, ricordo tutte le sere in cui ho aspettato nervosa qualcuno ma ora non importa più chi stessi aspettando, se arrivò o mi lasciò lì, ore ad aspettare invano; è sempre la stessa, maledetta, sospesa sensazione di attesa, un ponte tra me e la notte che fuori mi abbraccia e mi inghiotte, troppe volte estranea, troppe volte disillusa da un campanello che non suonò mai.

In viaggio da ragazzo

Guardavo il cielo che pareva immobile e la luce negli occhi di un sole prepotente e la testa mi duoleva ancora per la notte insonne e sregolata e la voce di mia madre mi lacerava i timpani, guidava a scatti lungo quell'autostrada per il nulla e chiusi gli occhi un attimo e il cielo era lì impresso nella mia mente e accesi l'autoradio per non sentire più mia madre e la coca sniffata nel cesso dell'autogrill faceva effetto, avvertivo una leggera scossa lungo tutto il corpo, riaprii gli occhi ed ero in una galleria luci come flash arancione, ombre veloci, mi sentivo eccitatissimo ed ebbi un'erezione e dissi a mia madre fermati in una piazzola quasi urlando e lei fece finta di non sentirmi e allora mi sbottonai i jeans e cominciai a masturbarmi e guardai il suo volto impassibile anche quando sporcai i sedili in pelle della sua mercedes nuova pulendomici la mano imbrattata di vita.

lunedì 16 gennaio 2006

Una notte africana

Il tramonto calava sulla savana ai piedi del Kilimangiaro. I bambini masai rientravano indolenti al villaggio, investiti da raffiche di vento e polvere, mentre il bestiame veniva riportato al recinto. Lontano le gazzelle brucavano l'ultima erba bruciata dal sole.
Tutto appariva immobile e perfetto, mentre mi affacciavo alla veranda del lodge in mezzo al parco. La figura snella e sinuosa di un guerriero scomparve dietro il tronco contorto di un'acacia. Avvertii l'odore della natura, mentre il cielo si scuriva e si adornava di mille stelle come diamanti ed mi accorsi che lentamente il guerriero si avvicinava ed ero inquieta ed eccitata allo stesso tempo, attratta inevitabilmente da un turbamento dei sensi che credevo perduto da tempo.
Lui allungò lentamente una mano a sfiorare la mia pelle candida e io non mi ritrassi, ma rabbrividii al calare delle tenebre africane.

Benvenuti

Piccoli racconti, stralci di vita passata e futura...

Siamo attori di un grande gioco, e spesso perdiamo l'occasione per cogliere piccoli momenti di vita cercando l'isola che non c'è.