venerdì 3 marzo 2006

L'ultimo uomo

Si muove lento tra la folla di un giorno strano, quasi distaccato dal mondo che lo circonda. L’aria fredda dell’inverno brucia sul suo volto, in gola, nei suoi polmoni. Respira piano, controllato. Quasi non si capacita di essere lì, ma al tempo stesso esercita sul suo corpo tutto il controllo di cui è capace. Non può riflettere su ciò che deve fare, ne impazzirebbe. Uccidere. Non ha mai ucciso, non sa nemmeno se ci riuscirà, il fallimento non è così improbabile. Non deve pensare. Deve solo solcare la folla e arrivare lì, davanti all’ultimo uomo. Cammina sempre più lento, quasi si ferma. “Non pensare”, si ripete. Ma non riesce, non riesce a non pensare, ed una strana sensazione affiora dal suo petto, quasi dolorosa, a ricordargli qualcosa. Ma cosa? E poi si ritrova lì, davanti all’ultimo uomo. Si guardano per un lungo istante, e lui percepisce che l’ultimo uomo sa perché lui sia lì, e all’improvviso il dolore nel suo petto esplode e la sua mente ricorda. L’ultimo uomo è come lui, sangue, pelle, carne, cervello, cuore ed anima. Sono uguali. Avverte il peso freddo del revolver nella sua mano. L’ultimo uomo gli sorride. “Ora puoi uccidermi”, gli sussurra, “ora non sono più l’ultimo uomo”.

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