venerdì 5 settembre 2008

Il giorno dell'abbandono

Lei constatò vagamente che la situazione sarebbe poi, in un certo modo, apparsa ridicola, non fosse che tutto si era accavallato in talmente poco tempo che faticava davvero a comprendere il peso di quegli addii (telefonati, sussurrati, predetti, predestinati, voluti, quasi cercati). Tutti, indipendentemente, quel giorno, le avevano rivolto il loro ultimo sguardo, come se fosse ormai distesa nella bara, ma sì, ancora viva, ancora per un po', ma lontana dalle loro esistenze che ora sarebbero continuate un po' più leggere, un po' più vuote (si interrogò oziosamente sul binomio leggero-vuoto, affacciandosi ad un abisso filosofico. Il mondo ci vuole più leggeri, ovvero più vuoti, ma ogni passo nella vita ci carica di un fardello di esperienze che si accresce inevitabilmente... ma no, non è questo il luogo giusto, non questo mio cervello di groviera). Constatò poi, sempre oziosamente, il lapsus che ne rivelava l'esistenza (chi scrive? di chi sta scrivendo? è forse questo un diario?), e ridacchiò pensando divertita a quel pervertito che spulciava le sue parole in cerca di pruderie con le quali solleticare il suo ego ed il suo sesso. Ridacchiò ancora, forse un po' più forte, questa volta, cercando il coraggio di vivere ancora questo giorno, il giorno in cui tutti l'avevano abbandonata, e si sentì ebbra ed impaurita di fronte alle infinite possibilità che le si aprivano di fronte (o almeno tentò di illudersi che infinite fossero le possibilità). Nello specchio del bagno vide i suoi occhi pieni di lacrime.

1 commento:

Anonimo ha detto...

l'essenza di questi racconti non può ricondursi ad un semplice lapsus...e non un lapsus è la tua esistenza, ma intense sensazioni d'animo.